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C’è un termine, che fino a qualche anno fa veniva considerato quasi alla stregua di un’offesa, recante con sé diversi pregiudizi che andavano dalla frivolezza dei creator alla pigrizia del loro stile di vita. Un termine che racchiudeva al suo interno una sempre più nutrita categoria di persone considerate le pecore nere del web, un po’ come “ColuiCheNonDeveEssereNominato” nel mondo dei maghi.

Di chi stiamo parlando? Degli influencer, ovviamente, o per esser più specifici di tutto il fenomeno dell’influencer marketing che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita importantissima, con implicazioni rilevanti per i brand, le aziende e la società nel suo complesso (ci arriviamo, tranquilli).

Oggi parliamo di influencer marketing, delle sue origini, su cosa fa leva, dei bias cognitivi fino ad arrivare alle più recenti evoluzioni di questo fenomeno controverso.

Sommario

Influencer Marketing o Passaparola?

Qui andiamo abbastanza spediti, ormai anche la nonna del XXI secolo sa di cosa parliamo. L’influencer marketing si può fare risalire all’antichissimo e preistorico passaparola. 

Tuttavia, non è proprio così. Il passaparola tra le persone, infatti, genera sicuramente il cosiddetto “effetto rete” di diffusione del messaggio, ma contestualmente aumenta anche il rischio che il messaggio originale venga distorto nel passaggio tra una persona all’altra.
L’influencer marketing, invece, fa leva sulla cosiddetta “social influence”, ovvero la capacità di influenzare gli altri, di farsi ascoltare, di innescare comportamenti imitativi, tutto a partire da un’unica persona e da un contenuto di cui tutti – indistintamente e senza distorsioni – possono fruire. 


Inutile dirvi quanto potrebbe essere pericoloso se questo potere venisse sfruttato male, vero? Ma lo sapete già, avete a che fare con gli influencer tutti i giorni, anche quando non ve ne accorgete!

Tutta una questione di…BIAS!

Iniziamo a spiegare il perché l’influencer marketing funziona così bene partendo dai cosiddetti bias. Ne esistono veramente tanti, e tanti di questi bias entrano in gioco nel solo fenomeno dell’influencer marketing.
In questa sede parleremo di quelli – secondo noi – più evidenti e rilevanti. 


I bias sono aspetti studiati dalle branche dell’economia comportamentale, delle neuroscienze e del neuromarketing.  Si tratta di “scorciatoie” mentali che ognuno di noi quotidianamente prende – spesso inconsapevolmente – per prendere decisioni più velocemente e senza troppi pensieri.

Gli influencer – ma non solo – fanno leva su alcuni di questi bias, che possono essere impiegati – un po’ come tutto quando si parla di marketing – a fin di bene o meno. 

Uno di questi bias è quello della riprova sociale, la social proof.
Pensate alle recensioni online: se qualcuno prima di noi ha mangiato in una pizzeria in Piazza Duomo a Milano e ne parla positivamente, siamo tutti più tranquilli, no? Perché?
Semplice: qualcuno c’è già passato, è andato tutto bene, non ha avuto un’intossicazione alimentare e quindi possiamo anche procedere con la nostra prenotazione, oppure no perché cambiamo idea e alla fine andiamo a mangiare sushi. 

Ma cosa c’entra questo con gli influencer? C’entra, perché qui oltre al bias della riprova sociale entra in gioco anche l’elemento personale.

Le persone, i volti umani e l’autenticità – rispetto alle entità astratte –  giocano un ruolo importantissimo per un pubblico che deve prendere una decisione, perché se è una persona a parlare si crea un senso di empatia superiore che ci spinge – per l’appunto – a fidarci. 

Per questa ragione, se un influencer consiglia un miracoloso prodotto per capelli che *ti cambia la vita* o il *tool di analisi marketing online di cui non potrai più fare a meno* in molti casi la fiducia ci fa arrivare su una pagina e-commerce o su un sito nuovo per i nostri studi quotidiani. 

Questo si collega facilmente anche ad altri concetti, come il social nudge e l’effetto gregge: per prendere decisioni in modo semplice e veloce, le persone si lasciano condizionare dalla massa, dalla norma sociale, da quello che fanno o dicono gli altri.
Non è da vedere necessariamente in senso negativo, come quando la mamma diceva: “Se il tuo amico si butta da un precipizio lo fai anche tu?”. 

Altri bias che entrano in gioco con l’influencer marketing sono il bias della conferma e il bias della molteplicità delle azioni.
Il primo fa leva sul fatto che siamo soliti circondarci di persone, idee, profili, pagine Instagram che confermano le nostre ipotesi e convinzioni iniziali.
Secondo questi principi, un votante di sinistra è generalmente portato a seguire personaggi di sinistra, testate di sinistra, influencer di sinistra, ovvero qualcuno che dimostri di pensarla esattamente come lui e che confermi le sue stesse visioni sulla vita. 

Seguire un influencer nel nostro “radar”, che conferma le nostre intenzioni di acquisto e le nostre convinzioni, ci spinge a validare automaticamente le informazioni che lo stesso influencer ci dà, velocizzando la decisione proprio perché provengono da una “persona fidata”.

Il bias della molteplicità delle azioni, invece, è legato al concetto del cosiddetto “paradosso della scelta”: per farla breve, è la confusione in cui ciascuno di noi si trova quando – ad esempio – si trova di fronte ad un menu con 30 gusti di pizza diversi. 

Troppe opzioni, infatti, mettono in crisi l’individuo, che necessariamente vedrà nell’influencer un modo per giungere più velocemente alla scelta e godersi il resto della giornata in tranquillità. Quando abbiamo a che fare con un influencer questo bias viene pressoché azzerato. Ci sta suggerendo un’opzione, la soluzione al nostro bisogno, sia esso manifesto, latente o nascosto.

Nell’ambito del paradosso della scelta, entrano in gioco altri due effetti: l’effetto framing, ovvero l’influenza che deriva dal modo in cui le opzioni vengono presentate (colori, font, prezzo…) e l’effetto default, che spinge a scegliere le “opzioni predefinite”, come quando compri un telefono nuovo e trovi una suoneria già impostata. 

L’influencer marketing oggi.

Viviamo in un momento storico in cui brand, aziende e personaggi pubblici decidono ogni giorno di essere più trasparenti, etici, corretti e giusti, facendosi paladini del bene comune.
Oggi, infatti, gli influencer non vengono più ingaggiati solamente per promuovere prodotti e servizi, ma anche per pubblicizzare iniziative benefiche, per far luce su determinate tematiche, per polarizzare gli interessi e creare nuclei di riflessione, confronto e talvolta scontro, o ancora per organizzare proteste, boicottare brand “cattivi”, fare emergere situazioni di ingiustizia e creare una “squadra virtuale di supporto” a cause e persone.

A confermare l’importanza degli influencer, negli ultimi anni si sono sviluppati dei veri e propri enti, come Assoinfluencer (Associazione Italiana Influencer), con l’obiettivo di dare maggiori diritti, legittimità e dignità a questa professione.

Il fenomeno evolve così rapidamente che oggi – addirittura – si è iniziato a parlare di un fenomeno chiamato “de-influencing”, o ancora di influencer virtuali, ma di questo ve ne parliamo meglio alla prossima puntata. 

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